martedì 20 gennaio 2009

Che Dio ce lo mandi buono

E adesso viene il bello.

Obama si è finalmente insediato ed è il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America.

Dopo la sbornia post-elezioni, l’entusiasmo e la commozione del mondo intero per questo afro-americano che sembra il messia, adesso è il momento dei fatti.

Il discorso di insediamento non dice granchè, come sempre. Ma il suo modo di porsi al mondo, umile e fiero, è un buon segnale. La crisi economica è al suo culmine percepito, l’America si trova innanzi a sfide colossali di ogni tipo e difficoltà, in patria e all’estero: il terrorismo, le guerre, l’ecosostenibilità della terra, la coesione sociale, la scuola, la sanità.

Una folla oceanica (si pensa due milioni di persone circa) si è stipata per vederlo giurare con la mano poggiata sulla costituzione già utilizzata da Lincoln; l’emozione e la titubanza di Obama durante la pronuncia della formula, hanno dato un senso di umanità ed emozione fuori dal comune. Immagini già consegnate alla Storia.

Ora, per Obama, comincia il difficile. Ha già fatto tanto pur non avendo fatto nulla; ha ridato al mondo un concetto di speranza che sembrava svanito o sepolto sotto cumuli di politica, affari e finanza ed interessi di parte; ha elevato ad una dignità mai conosciuta prima milioni di afro-americani, che per la prima volta in vita loro, sono andati a votare con in mano non un documento d’identità ma il loro cuore. Obama è riuscito in pochi mesi a riportare in alto il concetto degli Ideali, quando tutti dicevano che ormai erano scomparsi. E’ riuscito a creare, anche grazie ad internet, una nuova comunità fatta di giovani ed emarginati, pronti ad impegnarsi per una vera causa.

E’ già tantissimo, eppure  è solo una minima percentuale. Fare il presidente degli USA non è sicuramente un mestiere come tutti gli altri: le responsabilità e gli oneri sono innumerevoli. Sta a lui svolgere il suo ruolo nel migliore dei modi per risollevare le sorti di questo nostro pianeta, oggi bistrattato sotto molteplici punti di vista. Sta a lui evitare che milioni di persone perdano il proprio lavoro e i propri risparmi. Sta a lui garantire stabilità planetaria laddove è possibile e anche laddove sembra un miraggio irraggiungibile. Potrà sembrare esagerato pensarlo, ma il presidente degli Stati Uniti è anche un po’ il presidente di tutto il mondo.

Ed è per questo che oggi il mondo assiste col fiato sospeso alla sua proclamazione, tra il timore che anche uno come lui possa fallire sotto il peso delle incombenze e la speranza che forse questo è davvero l’ultimo treno per cambiare pagina. E va preso al volo, perché non passarà più

E allora, Good luck, Mr. President.

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